Il punto di inizio

Tribunale dei minori di una città qualsiasi, in un mondo crudele.

Le mani di Emilia sono intrecciate a quelle del marito Giancarlo in una presa ferrea, le unghie penetrano quasi la pelle, la forza di quella stretta sembra inesorabile, destinata a non esaurirsi mai. La stessa forza, la medesima risolutezza, Emilia l’ha dimostrata oggi in quell’aula di tribunale, dove ha appena assistito al processo che ha atteso per sedici mesi o per l’eternità: ha perso il conto o forse del tempo, di una vita lunga senza di lui, ora non le importa più. Ha vinto quel fottutissimo processo, l’ha vinto e non le importa. Il dolore è ancora lì, lo vede fare capolino dietro i microfoni dei giornalisti che li assalgono sull’uscio del tribunale, scruta la donna attraverso le loro telecamere, le entra negli occhi e nel cuore attraverso i flash delle macchine fotografiche che cerca di evitare.

Emilia stringe la mano del marito e non parla, non rilascia interviste, non l’ha mai fatto. “Il nostro dolore è personale e non finirà con questo processo, abbiamo semplicemente ottenuto la giustizia che ci era dovuta.” Risponde Giancarlo, accompagnando la moglie e allontanando i giornalisti più insistenti. Emilia gli rivolge un sorriso triste, guarda il suo volto scavato, riesce a scorgere la lacrima che Giancarlo sta nascondendo dietro un’espressione risoluta. È l’unica cosa che le rimane, pensa.

E così, la lacrima di Giancarlo, quella che cercava di trattenere, segna come un fiume la guancia di Emilia, scivola lentamente lungo lo zigomo e raggiunge il mento.

Davide aveva 14 anni. Era il figlio del loro amore, qualcosa di condiviso, come quella lacrima. Un figlio che ora è stato sostituito dal “dolore personale” di cui parla Giancarlo.

Davide è stato ritrovato morto dalla madre, impiccato al lampadario di camera sua. Non passa giorno in cui quella scena non si rispecchi costantemente nelle pupille di Emilia, proiettata dal suo cervello che non le perdona di non essersi accorta di nulla.

Davide sembrava felice: come può un quattordicenne essere infelice oggi? Aveva tutto: una famiglia, amici, una libreria, un blocco da disegno in cui rifugiarsi, ogni sorta di videogioco.

Un telefono all’ultima moda.

Emilia e Giancarlo l’hanno fatto analizzare quel telefono, alla ricerca della reale origine del malessere di Davide, e l’hanno trovata: centinaia di messaggi, mail, chat. Poche parole, trasmesse alla velocità della luce, da una casa all’altra, da uno stato all’altro.

Emilia e Giancarlo appartengono a un’altra epoca: un’epoca dove si parlava, ci si confrontava, si giocava in cortile con gli amici, la fantasia era la compagna dell’infanzia e dell’adolescenza e, forse, l’essere era ancora più importante dell’avere. Un’epoca dove i bulli esistevano già, ma ti venivano a prendere in classe e ti facevano male solo alle ossa. In quel momento, leggendo quelle conversazioni online, i genitori di Davide compresero che i bulli erano entrati sotto le ossa di quel quattordicenne, diretti verso il cuore.

Emilia lo sa, lo ha finalmente compreso: Davide viveva in un mondo diverso, è stato sbalzato dalla culla ad una società che, troppo presa a crogiolarsi nel senso di onnipotenza e di totale libertà che le offre l’ultimo modello prodotto dall’inesauribile forza informatica americana, ha forse dimenticato la sensibilità, la compassione, l’empatia ed il contatto umano. Una società di palazzi e grattacieli, di cravatte annodate e scarpe costose ben lucidate, dove peró vige solo la legge della giungla. E il re della foresta è sempre chi si nasconde meglio al buio, proiettando un’ombra che appare invincibile e ruggendo più forte, ma basta accendere la luce per smascherare questo “Re Leone” e rivelare un piccolo gattino presuntuoso e arrogante, abile a nascondersi dietro uno schermo, a celare la sua identità e a dimenticare la sua umanità, accanendosi contro i più deboli.

Davide non ha avuto il coraggio di accendere quella luce, di rivelare quella verità che lo tormentava da troppo tempo, o forse non ha solo trovato l’interruttore o qualcuno disposto ad aiutarlo ed Emilia non potrà mai perdonarsi di non essere stata lei stessa l’appoggio di Davide, la sua luce contro i bulli che lo minacciavano attraverso quel maledetto telefono che lei stessa gli aveva regalato, con molti sacrifici.

Ancora  una volta lo schermo di un cellulare è risultato più pericoloso di un pugno ben assestato e la capacità di comunicare con tutto il mondo in meno di un secondo si è trasformata da enorme opportunità in una minaccia subdola con un finale tragico, dettato da un semplice click.

In un mondo in cui la televisione ci abitua a ogni genere di violenza e la morte di un ragazzo di quattordici anni farebbe scalpore soltanto per pochi giorni e poi non ci toccherebbe più, la sensibilità del silenzio, della lacrima solitaria e della forza della mano di Emilia sembrano quasi un prodigio: il suo dolore è il punto di inizio per tutti gli esseri umani, che devono ritrovare il rispetto e l’empatia in questa giungla di apparenza e ipocrisia, per essere ancora degni della definizione di “umanità”.

6 risposte a "Il punto di inizio"

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  1. Che gran bell’inizio Vì 🙂
    I miei complimenti, un racconto che mi hai toccato molto e davvero ben fatto per quanto riguarda la forma
    Non posso non condividerlo con la comunità #adotta1blogger, nella quale ognuno di noi condivide pezzi di altri blogger, permettendo così di conoscerci e di avere un pubblico sempre più vasto 🙂

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